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La pandemia per Covid 19 ha enfatizzato, nelle persone più ansiose e ipocondriache, la paura dell'invisibile, di ciò che è sconosciuto; tutto ciò che accede al corpo attraverso il respiro viene vissuto come un fantasma che elude ogni distanza interpersonale, che invade e penetra corpi vunerabili e costringe a proteggersi dentro rifugi percepiti sicuri, solo se privi di relazioni con l'esterno, a volte nemmeno così.

La pandemia ha costretto le persone più fragili a separarsi dagli altri, causando dolorosi vissuti di solitudine.
I più esposti alle conseguenze del vissuto di isolamento sociale sono gli anziani, esclusi dal contesto lavorativo, stimolo cognitivo e luogo di serrato confronto, di gratificazione del proprio talento e operato, desiderano relazioni con i propri figli e nipoti, a loro volta impegnati nel quotidiano, di conseguenza lontani fisicamente.

I più anziani, nella relazione sociale, si sentono protetti, sicuri e percepiscono di appartenere al gruppo, una necessità per loro, che si intensifica con il passare dell'età.
Al contrario l'isolamento, scelto o forzato, è foriero di problematiche fisiche ed emotive poichè, durante le lunghe giornate di solitudine, emergono dall'inconscio i traumi più antichi, tematiche nascoste nella memoria più lontana, risalgono lungo un sentiero creato proprio dal silenzio affettivo dovuto alla separazione dagli altri; i temi più angoscianti si affacciano alla mente producendo una deriva ansioso-depressiva e una ricaduta sul corpo.


Molte malattie sono considerate, da valide ricerche, conseguenza dell'isolamento sociale, nelle persone in età avanzata, sono in termini di problematiche cardiovascolari, autoimmuni, disturbi neurocognitivi, del sonno, disorientamento e, addirittura, decadimento cognitivo fino alla demenza.
La solitudine è considerato un fattore predittivo di mortalità, alla stregua del fumo, obesità, pressione arteriosa elevata e colesterlo alto.


I disturbi mentali come ansia e depressione, paure e fobie spesso esitano, a loro volta, in un ulteriore ritiro sociale, spaventato e diffidente, con vissuti persecutori e di disvalore. Il sistema immunitario si indebolisce a causa della sofferenza emotiva ed affettiva fino ad aumentare gravemente il rischio di aggravamento di qualsiasi patologia.
La vicinanza fisica viene intesa, dalle persone in età avanzata, come vicinanza affettiva; in assenza delle relazioni significative di sostegno, si sviluppano comportamenti di rabbia e allerta nei confronti dell'altro, più giovane e forte, potenzialmente minaccia alla propria incolumità, a causa di un vissuto importante di fragilità ed esposizione al pericolo.


La necessità di proteggere i nostri cari più anziani, favorendo che rimangano protetti all'interno di un "rifugio sicuro", si trasforma, nella loro psiche, in un essere emarginati e rinchiusi in una gabbia di noia e solitudine.
Diventa estremamente necessario comunicare chiaramente, esplicitamente i propri sentimenti, esprimere la propria affettività, condividere le esperienze quotidiane attraverso gli strumenti tecnologici e insegnare loro ad usarli e ad esprimere, a loro volta, le loro emozioni, i pensieri, le riflessioni, coltivando allegria e sorriso.


Usare Whatsapp per scrivere e ricevere in chat, le piattaforme video come Skype, fare videochiamate, confrontarsi sui social, tutto questo per riuscire a mantenere le relazioni e costruirne di nuove.
La comunicazione virtuale può aiutarli a viversi come al passo con i tempi, capaci di innovazione, può incuriosire, può essere la novità che distrae dalla necessità di esperienza di vicinanza fisica.


Può essere prezioso suggerire la ricerca di un sostegno psicoterapico attraverso il web; trovare uno spazio per sè, pur attraverso un monitor, può guidare le persone più in difficoltà, a elaborare ansie e vissuti di esclusione, la rabbia, il dolore causato dalla solitudine; il sostegno telematico favorisce la razionalizzazione del contesto e consente l'accettazione del limite imposto dall'emergenza sanitaria, favorendo la pacificazione con l'altro e con i propri pensieri più dolorosi.

 

Dr.ssa Deborah Carta