La nostra rubrica in questo numero perde un po’ il suo linguaggio giocoso per l’esigenza emersa dai fatti di attualità di parlare di psicosi, di patologia mentale. Si è evidenziato fortemente il grado di ignoranza della nostra società nei confronti della patologia mentale e la difficoltà a trattare un argomento vissuto come fortemente scomodo.
Di sofferenza mentale parlano i malati, i loro parenti e gli operatori motivati. Per la nostra società civile la malattia mentale non è un argomento rilevante. Se ne parla solo in termini scandalistici, occasionalente, trattando eventi dramatici coinvolgendo opinionisti invece di specialisti che possano avere una funzione chiarificatrice ed educativa.
Ci sono madri infanticide, femminicidi, follie assassine, giochi aggressivi che mettono a rischio la vita di adolescenti senza consapevolezza e molto altro eppure ogni caso viene trattato come fosse a se stante, non sufficientemente collegato al malessere sociale che lo ha prodotto.

 

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Si evita di far emergere che la nostra società si ammala sempre più a causa della mancanza di cultura, conoscenza e contatto nelle relazioni, a causa dell’essere sempre meno presenti a se stessi. Oggi voglio parlare di psicosi, di come nasce e della paura di essere matti, del desiderio di nascondere i malati e non vederli oppure esorcizzare la patologia deridendoli o trattandoli come avessero una dignità inferiore a chi, per dirla con Gaber sta” fuori dal cancello”. Mi scuso con i lettori laddove il linguaggio fosse un po’ tecnico ma ho fiducia che chi desideri conoscere anche questo punto di vista non avrà difficoltà a sintonizzarsi sul linguaggio un po’ specialistico. “Senza pelle” è l’appellativo che si da ai neonati che, privi di un contenitore mentale strutturato interiore perchè ancora non formato, percepiscono ciò che li circonda, in assenza della funzione materna, senza strumenti precisi, in modo confuso e perturbante, invadente e spaventevole. Questo accade perchè il neonato è stato contenuto per nove mesi in un utero morbido, caldo, rassicurante. Dopo il parto il contenitore fisico non c’è più e il piccolo di sente sperso:

ha il vissuto di vagare in un vuoto pieno di angoscia. Solo il sopraggiungere delle braccia della mamma e del suo sguardo gli consentono di sentirsi al sicuro poichè diventano contenitore psicocorporeo rassicurante , punto di riferimento interni per una crescita sana e forte. A volte questo non è possibile: i fatti della vita producono concause che fanno sì che il care giving non sia adeguato e il bimbo non sviluppa una struttura emotiva solida. È l’angoscia del primo anno di vita, non elaborata o non riparata a segnare gravemente la struttura mentale del bambino impedendogli di sviluppare meccanismi di difesa dall’angoscia adeguati e funzionali all’adattamento alla realtà. È incredibile ma si diventa psicotici a volte perchè la mamma ha subito un grave lutto mentre aspettava il suo bimbo o dopo il parto viene ospedalizzata oppure era gravemente depressa o sfinita e nessuno la aiutava e per problematiche emotive importanti non era presente in qualità o quantità di tempo. Gli psicotici (o schizofrenici) sono dei “senza pelle” poichè non hanno introiettato strumenti di rassicurazione dal pericolo di un mondo non decodificabile. Sono ipersensibili al dolore. Mentre il nevrotico in un momento difficilissimo della sua vita riesce a tollerare pur nella sofferenza gli eventi e le loro conseg uenze, uno psicotico ricorre a fughe dalla realtà e si irrigidisce in rituali e ossessioni finalizzate a dargli l’illusione della rassicurazione. Lo psicotico è incapace di difendersi con gli strumenti che tutti noi nevrotici riusciamo ad usare. Ebbene si, i sani non esistono. I più siamo nevrotici e utilizziamo meccanisi di difesa dalla sofferenza a volte adeguati altre volte meno; riusciamo a reggere, a malsopportare lutti, separazioni, ferite, offese. Gli psicotici no; per loro il dolore è troppo intenso e non sanno confrontarcisi così a volte si rifugiano nel delirio che è un vivere in un mondo alternativo o scelgono di essere altri, a volte credono alle loro fantasie oppure parlano con parti di sè che personalizzano perchè la paura se ha una voce è in qualche modo identificabile con un’immagine e perciò più controllabile dell’informe; a volte vivono un luogo come fosse magico, sostituto materno, come ha fatto il signor Soldi che non voleva allontanarsi dalla sua panchina. Comportamento bizzarro. Non pericoloso ma bizzarro. Diverso . Molto diverso. Nei reparti psichiatrici si può notare che gli infermieri o altri operatori si rivolgono ai pazienti dandogli del tu come se la loro fagilità autorizzasse a squalificarne la dignità. Questo accade anche per esorcizzare la paura di essere come loro.

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Molti “normali” ,”sani” hanno infatti vissuto la paura di essere pazzi; succede quando si soffre più di quanto possa sembrare sopportabile. Si teme di poter perdere la ragione; l’emozione di dolore viene esperita come troppo intensa o lo è la rabbia, le fantasie compulsive su una vita diversa, gli impulsi distruttivi o autodistruttivi dopo una ferita, il dolore di un lutto, il vuoto della solitudine, la percezione di non essere sufficienteente buoni e di non essere amati, accettati. L’emozione e la paura di “non essere normali” vengono tenute segretissime. L’angoscia di poter perdere l’equilibrio, essere visti come persone senza padronanza di sè, ingenue, trasparenti, leggibili nelle proprie fragilità nudità emotive è grandissima. Malattia mentale è l’etichetta dei nostri mostri più nascosti, dei film horror che non potremmo mai guardare, uno specchio che deve rimanere rotto e in un angolo buio perchè la pena di perdere il controllo della propria mente è in assoluto quanto di più spaventevole esista per ognuno di noi. E così il malato è nascosto in centri in cui fa percorsi specifici , tenuto ben separato dal resto del mondo civile quasi a proteggere il nostro contesto storico culturale dal perturbante incontro con il terrore di non essere sani. Non è frequente incontrare un malato mentale per strada nelle nostre città; può capitare più spesso nei paesini dove in un contesto più protetto i “senza pelle” si consentono maggiormente di annusare il nostro mondo e provare a relazionarsi nella loro modalità così speciale. Nelle città la maggior parte degli psicotici vive in casa dove trova la protezione delle mura domestiche dagli sguardi sorpresi e giudicanti dell’altro, di chi vive “fuori dal cancello “. Scrive Gaber “noi che siamo normali, noi che abbiamo la fortuna di esser sani” Per esorcizzare la paura di non esserlo, in un contesto ignorante come il nostro, che isola trasformando in diffidenze le differenze, c’è chi aggredisce lo psicotico con sguardi di superiorità, deridendolo e emerginandolo e laddove c’è l’uso di sopprimere la propria fragilità annichilendola si usa la forza come è successo a Torino con la morte di Andrea Soldi. Lavoro con psicotici e schizofrenici da tanti anni e ogni volta che uno di loro muore per me è come fosse andato via un neonato, un bambino o un grande poeta. Ricordo A. di un paesino della Sardegna, chiuso nella sua stanza da 10 anni; sono riuscita a conoscerlo e a farmi conoscere con la scusa che desideravo fumare la mia sigaretta in zona fumatori e non nell’area con divieto materno. Ricordo il soffitto giallo tabacco della sua stanza fumosa, il suo viso bambino, la voce grossa alla Guccini, la delicatezza dei suoi pensieri, simili a petali, a corolle di fiori.Abbiamo parlato per due mesi di De Andrè e De Gregori. Ha chiamato in pronto soccorso in piena notte asserendo di avere un fortissimo impulso suicida chiedendo intervento immediato. Lo hanno fatto stare in corridoio coricato su una barella per il restante tempo della notte. Alle 8 è stato riaccompagnato davanti al portone di casa. È salito direttamente su terrazzo e si è buttato giù dal terzo piano. L’ambulanza aveva appena girato l’angolo. Aveva chiesto aiuto, per a prima volta dopo 10 anni e non lo aveva chiesto a me per non disturbarmi in piena notte! La malattia mentale è una malattia del dolore. I suoi sintomi sono sintomi bambini, sogni o incubi di bimbi che hanno difficoltà a credere di potere essere amati o protetti. Il nostro contesto è schizofrenogeno; non allena il braccio della solidarietà umana e invece umilia o calpesta il diverso; non c’è spazio per la ricchezza emotiva ed artistica di cui la sofferenza mentale è immenso patrimonio. Alleghiamo un videoclip del gruppo teatrale Nasodoble estratto dalla seconda pubblicazione: Dall’altra parte del cancello, di Giorgio Gaber, citato nell’articolo pubblicato nel numero di settembre.

I Nasodoble sono una band e un progetto musicale. Colgono e traducono, sottolineano e denunciano attraverso la musica, i testi ma anche l’interpretazione sul palco e i videoclip contraddizioni sociali, disumanità varie ed eventuali attraverso il largo uso del paradosso. DALL’ALTRA PARTE DEL CANCELLO è il videoclip surreale e inverosimile ma al tempo stesso plausibile, interpretazione del brano di Giorgio Gaber, facente parte di una raccolta dal titolo “Far finta di essere sani” . Quì i NASI evidenziano i nonsense del vivere socialmente accettato e ritraggono le incongruenze quotidiane degli individui che si ritengono sani ma per esserlo ingeriscono pasticche, le fanno ingerire ai propri figli,si rivolgono ad un specialista con il quale giocano un ruolo diverso da quello pattuito, si laureano ricevendo come documento di laurea un certificato medico, con cui ci si può recare in armeria per acquistare una pistola e far finta di essere sani tentando di “cancellare” la propria complessità.

 

Deborah Carta